Sono un pazzo. Mi permetto di asserire che crescere con la finalità di crescere continuamente è una follia: per un’azienda a qualsiasi settore appartenga, per un ospedale a qualsiasi paziente voglia dedicarsi, per uno studio professionale per qualsiasi servizio voglia offrire, per un artigiano esperto costruttore di un qualsiasi manufatto, per una orchestra sinfonica di 50 elementi che produce concerti. Perché, in questo caso, magari non produrne di ancora migliori con 130 professori d’orchestra? Perché no?
Precisiamo: non sono fautore della cosiddetta “decrescita felice”, ma sono allergico, profondamente allergico, al pensiero unico dettato dai venditori di falsi miti. Miti che diventano verità assolute, dettate dal mainstream e dai guru del marketing, dell’innovazione, delle tecnologie digitali, dei big data, delle start up, della crescita ad oltranza come principio basilare per chiunque e sempre.
Mi ricordo che da bambino alle elementari guardavo stupito un mio compagno di classe, si chiamava Gianluca (ometto il cognome, anche perché non lo ricordo più), che ogni anno, dalla prima elementare sino alla quinta, veniva con un astuccio sempre con più matite colorate. Il primo anno solo 12, il secondo 24, e così via sino alla quinta in cui si presentò il primo giorno di scuola con un “portapacchi” con ben 54 pastelli a colori: c’era anche il colore verde pisello chiarissimo.
Ho visto recentemente, non scherzo, in un autogrill vicino Parma, un set di ben 124 pennarelli a spirito!
Questa è la malattia del più che si fonda nella compulsione all’aggiungere, all’aumentare, all’addizionare, quasi sempre in quantità, raramente in qualità.
Mi domando e vi domando: pensate che questo modo di procedere per crescita compulsiva sia sensato? O sia veramente efficace per chi fa business, o sia sostenibile per chi svolge attività come dipendente o in proprio e lavora sempre di più, per cercare di guadagnare sempre di più, per comprare sempre di più, vivendo in definitiva sempre di meno?
Esiste una cura efficace alla malattia del più che produce competizione senza limiti, scarsi risultati in termini di profitto, pressioni psicologiche e paure di non farcela impedendoci di dormire la notte, rovinando le relazioni con i nostri figli, con i nostri clienti, con i nostri colleghi d’ufficio?
Possiamo costruire una “exit strategy” non per mollare tutto e andare a vivere in una isola dei Caraibi, ma per riappropriarci del senso vero delle cose che facciamo con gli altri, allontanandoci per quanto possibile dai quei miti che non sono più utili alla nostra vita, alle nostre attività economiche e all’ evoluzione come esseri umani.
Questo vuole essere uno spazio di condivisione non di idee (ce ne sono già troppe in giro) ma di azioni fattibili, di scelte possibili, di progetti eseguibili. Che diano risultati già da domani, guardando però lontano, molto lontano.
Alla prossima.
