Capitolo III
Il pomeriggio di un fine settimana di metà settembre, nel profumo di mare, quello intenso che le alghe impreziosiscono con note esotiche che rapiscono i sensi, Vincenzo risorse da un sonno profondo che lo aveva sorpreso poco dopo aver ancorato il gozzo in una baia a ridosso di un promontorio che cadeva a picco sul mare di Capri.
Era caldo e, quando è caldo, l’aria umida pesa sulle cose e sugli umori, li bagna e li appiccica, immergendo il tutto in un chiarore indistinto che sa di bianco latte.
Spesso a queste latitudini tali condizioni del tempo preludono all’arrivo nel giro di poche ore di venti che portano piogge e temporali: per questo Elisa era un pò preoccupata, non aveva voglia di trovarsi a dover fronteggiare mare grosso con quella barca.
In mare ti senti sempre impreparato perché non puoi mai sapere che evoluzioni prende il moto delle onde ed il vento. Anche se sei esperto e hai navigato per anni senti una mancanza, una incompletezza che ti lascia esposto al caso e agli eventi imprevedibili.
Sistemi le vele, stringi i nodi delle cime, orienti la prua contro vento, calcoli una rotta, guardi l’orizzonte, interpreti il moto delle nuvole, ma non basta: qualcosa, più di qualcosa, ti sfugge e ti rende in fondo un pò inquieto.
E allora guardi gli strumenti di bordo, ti colleghi su internet con il meteomar per avere le ultime previsioni, ascolti il bollettino emesso dalla capitaneria del porto più vicino: in sostanza ti aggrappi alle tue risorse razionali, alla ragione garantita dalla tecnica a tua disposizione, ai numeri e ai dati, insomma.
Vincenzo è un marinaio moderno, si fida del potere calcolante della tecnica, come tutti ormai nel nostro mondo tecnologico in cui la natura è strumento che va utilizzato ai nostri fini: la natura come risorsa da sfruttare ed usare.
Ne aveva parlato più volte con Elisa di come il progresso tecnologico avesse portato al predominio del concetto di utilitarismo: le cose e anche le persone hanno valore se e solo se sono utili a qualcosa o producono vantaggi economici. La ragione strumentale ha il predominio su qualsiasi altro pensiero o sentimento.
L’imponderabile, il caso, il pensiero irrazionale, i miti, le stelle e con esse il sentimento di mistero ed il senso che hanno gli eventi quando noi non ci separiamo dal mondo guardandolo solo come risorsa, sono messi in un angolo e ci aggrappiamo unicamente alla falsa sicurezza di una tecnologia che deve per forza funzionare.
La barca invece può affondare, il mare può avere il sopravvento e la sapienza e l’esperienza a volte non servono a salvarci o a redimerci dagli errori e soprattutto non è la tecnologia che può promuovere un orizzonte di senso.
Noi uomini occidentali ormai da qualche millennio viviamo nella certezza scritta a chiare lettere nei primi versetti della bibbia: all’uomo è stata dato da Dio il potere di utilizzare la natura a suo piacimento, interpretando se stesso come espressione del dominio sulle cose, sul mondo.
Su queste basi così compenetrate nel nostro intimo da non essere più solo credenze religiose, ma ragioni culturali diffuse e ritenute verità assoluta, si annida e prospera “l’ospite inquietante” autore di quel senso costante di tristezza e di inquietudine che spesso ci prende e come bianco latte si appiccica al nostro animo.
Vincenzo ricordava perfettamente il sogno che aveva fatto poco prima durante il sonno profondo da cui si era svegliato:aveva visto Don Chisciotte che… “ripulite le armi, battezzato il suo amato ronzino e dato a se stesso la cresima, si era convinto che non gli mancava nient’altro se non cercare una dama di cui innamorarsi: perché un cavaliere errante senza amore è come un albero senza né foglie né frutti o come un corpo senz’anima”
Chissà che il sogno e il folle Don Chisciotte non possano dare una risposta plausibile all’ospite inquietante, disse Elisa ammiccando con quel suo sorriso che sempre riusciva a sciogliere i pensieri confusi e contorti di Vincenzo.