Una certa idea di destino


Capitolo I

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Gli era venuta voglia di fermarsi: mentre cadeva.

Si era reso conto che stava precipitando solo quando le cose attorno a lui avevano cominciato a scomparire dal suo orizzonte visivo con una velocità inusuale. Non che fosse spaventato, aveva solo una strana sensazione di impellenza a togliersi il più rapidamente possibile dalla situazione in cui si trovava.

Aveva sempre avuto una precisa idea del destino, del suo, e comprendeva che quello che stava succedendo non coincideva con quello che aveva immaginato fosse giusto per lui, o quanto meno predestinato per lui.

In effetti non sopportava l’idea che le cose, in quel momento, stessero andando in maniera diversa da come le aveva pianificate: il destino che meritava era quello che aveva progettato, nient’altro, sia nei tempi che nei modi.

Di questo, qualche tempo addietro, ne aveva parlato con Elisa: di come lui avesse predisposto il percorso esatto che avrebbe fatto nella vita: “Il mio destino si realizzerà perché io lavorerò duro in quel senso, senza mai perdere l’obiettivo e tenendo sempre in vista la mia meta”, aveva detto con fredda determinazione.  Gli avevano fatto credere, sin da piccolo, che la volontà sposta montagne, che se concentri le tue energie ottieni quello che vuoi: certo bisogna essere cinici nei confronti degli altri e di se stessi, ma il fine giustifica i mezzi.

Le più grosse baggianate sono proposte alla gente sotto forma di motti o sentenze e frasi fatte: fatte da coloro che scambiano desideri e speranze con la realtà e si affidano al senso comune per navigare, senza verificare se quella rotta, indicata da altri, è buona per non andare a finire contro gli scogli. Di questo Elisa ne era convinta, ma quella volta  aveva evitato di controbattere: pensava fosse inutile. Troppo convinto lui di quello che diceva: sembrava un prete durante il sermone della domenica.

Come chi segue con una certa coerenza una religione non si fa tante domande sul perché e sul per come, evitando così di cadere nella rete delle incertezze che creano ansie, anche lui, come questi, evitava accuratamente il minimo dubbio su una certa idea di destino che sentiva invece perfettamente tagliata su misura per se. Diremmo anzi che questa idea di destino se l’era proprio ritagliata secondo gusti, preferenze e desideri su cui aveva per anni pensato, programmato, deciso e scelto.

Almeno a lui sembrava fosse successo proprio così: lui, il suo destino, lo aveva creato.

La caduta che stava sperimentando in quel momento lo aveva però trascinato su un sentiero sconosciuto, mai pensato prima, fuori totalmente dalle rotte da lui con cura disegnate e fin lì navigate. Eppure di navigazione se ne intendeva: marinaio nella mente con il mare nel cuore, sulla pelle sempre sale, tempeste e sole, aveva da sempre posseduto una barca: a vela, rigorosamente.

Aveva studiato per questo in un istituto nautico a Santa Marinella, rinomato per aver formato i migliori comandanti della marineria commerciale, quindi si era imbarcato appena sedicenne su un caicco come mozzo per una cruise line privata che portava a zonzo per il mare di Zanzibar ricchi vecchietti desiderosi di finte avventure, era diventato, poi, proprietario di un gozzo ligure comprato in un piccolo cantiere navale nell’isola di Sant’Antioco, aveva rimesso in ordine le vele -vela latina per la precisione- e il fasciame con l’aiuto di un mastro d’ascia dell’isola di Carloforte e,  definite sulla carta nautica le coordinate di navigazione, aveva portato il suo gozzo, con una traversata in solitario di soli due giorni, sulla costa amalfitana. Lì si era fermato per alcuni giorni a casa di amici della madre.

A Vincenzo, suo padre marinaio nell’animo e nella vita anche lui, sin da quand’era un piccolo scugnizzo di pochi anni, raccontava storie di pescatori e di gozzi a vela latina intrise di avventure che facevano rimanere con la bocca aperta quel piccolo babbeo del figlio, nelle notti di pioggia prima di addormentarsi: dopo poco inesorabilmente cadeva in un sonno sereno come solo un bambino può avere.

Fu proprio a causa di quei racconti serali che il piccolo cominciò a desiderare e a costruire per se, con l’immaginazione, il gozzo delle storie di suo padre, legandolo indissolubilmente a quella certa idea di destino che lo avrebbe accompagnato negli anni avvenire.

Certe volte i padri non si rendono conto quanto le storie che raccontano abbiano il potere di  trasformarsi magicamente in rovere per la chiglia e per le ordinate, in pino ligure per il fasciame, mogano per i banchi e faggio per i remi, costruendo così, nel tempo, senza accorgersene,  per i figli un gozzo a vela latina che può prendere il mare con una certa sicurezza, anche nel mare agitato da venti imprevisti, e disegnando per loro una bozza di idea di destino che li prenderà per tutta la vita e che di quei venti di tempesta se ne infischierà bellamente.

Gozzi e destino si incrociarono nella vita di Vincenzo che con il mare aveva sigillato un patto.

Se si vuole tentare l’avventura di conoscere un  uomo, e lo stesso vale per una donna, si dovrebbe avere l’abilità di riconoscere e avere la pazienza di studiare questi incroci che, nascosti nel profondo di ognuno, sono crocevia di infiniti destini e di scelte e di gesti d’amore e di battaglie: altrimenti incomprensibili ai più.

Sono come nodi alla maniera dei marinai: intrecciano idee, pensieri, immaginazioni, eventi, persone, in forme  a prima vista senza senso, seguendo linee orientate in direzioni diverse, per poi prendere percorsi  a prima vista senza sbocchi, ma poi invece si chiudono ad un certo punto, improvvisamente e magicamente, in un nodo che risolve il mistero, legando con forza e coerenza.

Non a caso i nodi sin dall’antichità non sono solo stati utili a legare cose, ma hanno sempre avuto significati religiosi e sacri, esoterici e superstiziosi. Insomma il nodo così come incrocia in modi straordinari e diversi le cime di un gozzo a vela è  anche, da sempre,  cardine, crocevia e  significato dei destini di un uomo.

E come per i nodi, tra questi destini,  ne scegliamo uno che rappresenta quella certa idea di vita  più coerente con ciò di cui abbiamo bisogno o ci sembra di aver bisogno. Esistono infatti diverse categorie di nodi a cui corrispondono funzioni (e filosofie di vita) diverse, molto diverse l’una dall’altra.  Si hanno così nodi di “arresto” o di “appesantimento”, nodi di “accorciamento”, nodi di “congiunzione” e nodi “d’avvolgimento”, ma anche nodi per il rimorchio.

Categoria a parte sono le “gasse”, nodi molto utilizzati dai marinai in quanto servono a soddisfare gran parte delle necessità. Sostanzialmente non ci si può considerare marinai se non si sa realizzare rapidamente una gassa d’amante: serve ad esempio per salvare un uomo in mare e ha inoltre il pregio di potersi sciogliere rapidamente, anche quando le cime sono bagnate.

Elisa un giorno gli aveva chiesto perché si chiamasse “d’amante”. Vincenzo le disse che non c’entrava niente l’amore, ma che “amante” è la manovra che serve per tirare su il pennone: Elisa scoppiò in una risata incontenibile, pensando che Vincenzo avesse fatto una battuta da bar dello sport.

Provocare le risate di Elisa faceva parte di quella certa idea di destino che Vincenzo aveva adottato da ormai tanto tempo.

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